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Baia d'Oro Residence Torre Mozza

Le specchie di Torre Mozza

Monumenti che parlano di un tempo arcaico, dissimulano la loro importanza storica sotto le sembianze di un cumulo di pietrame negletto nelle campagne del Salento: sono le specchie testimonianze di un enigmatico passato che qui sembra non passare mai realmente. Nei pressi di Torre Mozza, nel circondario di Ugento, se ne contavano due: la specchia del Corno o del Corvo e la specchia di Lazzarino o Lazzarito. La prima la più mastodontica è scomparsa ad opera dei costruttori di strade, la seconda, fortunatamente risulta integra. Sono state avanzate diverse ipotesi sulla funzione di queste costruzioni, secondo alcuni costituivano dei monumenti funebri, una tesi suffragata dal ritrovamento all’interno di specchie di più piccole dimensioni di sepolture complete di corredo funerario. Tesi più accreditata, soprattutto per le specchie che si innalzano a raggiungere i dieci quindici metri, le vuole luoghi di avvistamento, come suggerisce il loro sviluppo verticale e la collocazione intorno ai centri messapici. Colline di pietre, alture artificiali necessitate dalla natura pianeggiante del territorio, microscopiche serre, di cui sembrano riprodurre in scale la forma nelle accanite pianure costiere e dell’entroterra. La specchia fu certo un desiderio di collina, un bisogno di dominio per lo sguardo, che volle innalzarsi a scrutare un orizzonte in un atteggiamento di attesa e sospensione che ancora oggi caratterizza questi luoghi. Il rapporto con lo sguardo e la vista è suggerito dal nome stesso di questi monumenti, probabilmente derivato dal latino specula a indicare una esigenza di interrogare con lo sguardo il mare e l’orizzonte. Una esigenza sicuramente presente per le specchie costiere come quelle nei pressi di Torre Mozza, che sentinelle scalavano a turno per scrutare il mare da cui venivano tutti i pericoli .Vedette che avevano il compito di segnalare tempestivamente alle masserie, casali e paesi dell’entroterra, ogni qualvolta comparissero all’orizzonte navigli sospetti. Le comunicazioni avvenivano attraverso una catena di segnalazioni visive costituite probabilmente da fuoco o fumo. Le specchie, infatti, erano molto distanti l’una dall’altra e, oltre alle costiere, vi erano quelle ubicate nell’interno, ma ognuna era collegata visualmente con l’altra più vicina a formare un intelligente sistema di avvistamento e di comunicazione. La specchia di Lazzarino, ad esempio, comunicava a Sud-Est con quella di “Morosano” e a Nord-Ovet con la specchia del Corno. Quest’ultima, poi, con quella detta “l’Alto” di Alliste. Un sistema di sguardi in un esigenza di mutuo soccorso che racconta la durezza e la perenne precarietà del vivere in queste terre. Con la loro muta mole di pietra, le specchie concorrono a comporre la bellezza del Salento come austero paese arcaico. Un luogo che vibra di incontaminata autenticità nella severità e elementarità del suo paesaggio, che trova nelle specchie, come nei menhir, nei dolmen un fascino ed un elemento costitutivo, che scavalca e attraversa come fiume carsico il tempo. Appare fatale, dunque, che il Salento seguiti a esprimersi nei termini d’una civiltà neolitica, fino a ritrovare spontaneamente tecniche preistoriche anche, ad esempio, nella copertura “a tolos” dei cosiddetti furnieddhi di campagna. Pietra su pietra lo spirito ancestrale del Salento si innalza prende forma e giunge fino a noi, che osservando queste specchie vicino al mare di Torre Mozza ci scopriamo piccola parte, solo per brevi istanti attori, del grande movimento del tempo che ci sovrasta.