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Itinerari Salento: gli alberi monumentali

Viaggio a Sud, alla scoperta dei giganti verdi di cui la terra salentina è madre generosa e feconda. Ce n’è di esotici, importati per vezzo ornamentale dall’altro capo del mondo. E ce n’è di indigeni, signori centenari scampati all’invasione di cemento che ha falcidiato i boschi. Non solo ulivi, dunque, quelli in difesa dei quali torna a marciare oggi il popolo ambientalista: appuntamento a Ostuni, per bloccare gli effetti della modifica alla legge regionale che ne rende più facile l’espianto in nome del diritto a costruire. Sono sessanta milioni in tutta la regione, sei milioni quelli monumentali.
Gli uni e gli altri costringono ad arrampicare lo sguardo verso l’alto, guadagnando alla vista una porzione di cielo. E fu forse per distrarre dalle cose terrene le nobildonne “… vergini, vedove e malmaritate” che trovarono rifugio nell’ex conservatorio di Sant’Anna a Lecce, che i Verardi  –  proprietari del palazzo seicentesco nei pressi di Porta Rudiae  –  misero a dimora un ficus macrophilla che oggi svetta a 25 metri di altezza. Un esemplare di circa 250 anni, importato dalle foreste pluviali asiatiche intorno al 1840, reperito probabilmente per mezzo del vivace scambio fra gli orti botanici sorti all’epoca nel Regno delle due Sicilie, a Napoli, Palermo e Lecce. Ne sono certi gli studiosi, fra questi il botanico Francesco Minonne, responsabile scientifico del Parco costa Otranto-Leuca e bosco di Tricase, cicerone del viaggio alla scoperta del tesoro arboreo del Salento.
“La giungla di città fatta di costruzioni e pavimentazioni, ricrea paradossalmente una specie di cortina protettiva intorno agli alberi “, spiega Minonne, la stessa grazie alla quale vive a un passo dal castello Carlo V un bestione dal fusto bitorzoluto e la chioma gigantesca. Lo chiamano baobab, parto di una fantasia cartoonist, ma è una Phitolacca dioica originaria del Brasile: 150 anni di vita appena, praticamente un giovanotto, versatile e resistente (anche allo smog). Un prodigio monumentale, radici comprese, robuste, intricate e ospitali.
Il viaggio prosegue verso fronde più familiari, schiettamente autoctone. Come la quercia virgiliana che si inerpica verso il cielo di Taurisano abbracciando da parte a parte i tetti della stradina di periferia. Dimora in via XXIV maggio questo signore di 450 anni dal fusto portentoso, per cingere il quale ci vogliono almeno tre paia di braccia. “Un relitto”, dice Minonne, che vale per testimone di un passato remoto in cui la scena del paesaggio era dominata da foreste di lecci e querce.
Ma è ancora più giù, fra campi aperti e raggiungibili solo da chi conosce bene l’estremità di questo lembo di terra che ci si ritrova faccia a faccia con un vero ciclope, 23 metri di altezza, poco meno della chioma che misura 27 metri di diametro. È il leccio più grande del Salento, in contrada Pisignano, nel comune di Lizzanello.
Ultima tappa a Tricase, per il rendez-vous con la signora in verde che giganteggia solitaria nel cuore del Parco regionale della costa idrutina: una quercia vallonea che conta 850 anni di vita e nessun simile nel resto d’Italia. “Siamo l’avamposto più occidentale ad ospitare questo tipo di quercia, la cui casa è l’areale che comprende gli stati della ex Jugoslavia, e proprio da Valona prende il nome”, commenta Minonne con gli occhi dietro l’obiettivo della macchina fotografica, a immortalare ancora una volta il mistero di questa creatura che ha messo radici qui, non si sa come. Gli studiosi si dividono fra quanti sostengono che la varietà sia stata importata dai basiliani, che adoperavano il tannino contenuto nelle cupola delle ghiande per la concia delle pelli, e chi sostiene che sia una creatura indigena, germogliata grazie a irripetibili condizioni microclimatiche. Un enigma destinato a rimanere tale, probabilmente, sulle fronde di una sfacciata, materna, monumentale bellezza.